JP 2 Lectures // Prof. Renato Cristin: Formal Europe and vital Europe

Giovedì 20 maggio, presso l’Istituto di Cultura San Giovanni Paolo II all’Angelicum di Roma, ha avuto luogo una conferenza della nostra serie. Il titolo della conferenza era “Formal and Vital Europe. Tradition as the Ground of the Identity” ed è stata tenuta dal Prof. Renato Cristin, filosofo italiano e docente all’Università di Trieste.

L’Europa comprende identità e tradizioni comuni a molti milioni di persone in tutto il continente, ma per avvicinare l’Unione Europea e i suoi cittadini l’”Europa formale” deve tornare a legarsi alle tradizioni e all’identità dei popoli che la abitano. Dobbiamo rafforzarci e sostenerci sulle fondamenta dei nostri valori e costumi che per secoli, addirittura millenni, sono stati la ragion d’essere dell’Europa, ha detto il Prof. Renato Cristin durante la conferenza tenuta nell’ambito della serie “JP2 lectures”.

La conferenza del Prof. Cristin ha iniziato riflettendo sulla dicotomia che si sta presentando tra l’Europa intesa come unione di comunità storiche con tutte le loro particolarità e prerogative politiche, e un’Europa ‘Ideale’ che viene rappresentata come spirituale e universale nel suo potenziale di coesistenza pacifica, come tracciato dai suoi eminenti e notevoli pensatori e uomini di stato. L’Europa ideale non è una costruzione utopica che ha poco a che fare con la realtà, ha osservato il filosofo italiano, ma piuttosto una sorta di patria spirituale e comune degli europei, una nozione rafforzata dal sentimento di appartenenza a una reciproca civiltà religiosa la cui essenza transnazionale si è resa evidente durante le sue molte prove e tribolazioni storiche.

Il XX secolo fu un momento di riconfigurazione del dualismo europeo, prendendo le forme dell’opposizione tra un’Europa totalitaria e un’Europa democratica, e più tardi di un’Europa divisa dalla cortina di ferro dove una parte faceva da piano sperimentale per i promotori della nuova persona sovietica. È in questo contesto che è entrato in scena San Giovanni Paolo II – un filosofo di proporzioni eminenti, un teologo e uno statista, che ha dedicato enormi sforzi per unire la sua madrepatria europea frammentata e lacerata. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, l’Unione Europea venne vista come un serbatoio di idee e valori che articolava i suoi nuovi confini concettuali per la reintegrazione dei paesi dell’Europa centrale e orientale nella comunità europea, ma questa visione era in realtà molto lontana dalla burocrazia formalistica che abbiamo conosciuto oggi.

Secondo Renato Cristin, l’impulso iniziale per l’integrazione europea non era una visione distopica di un ordine burocratico delle cose, ma piuttosto un sentimento reciproco di identità europea e di eredità storica e culturale i cui fondamenti raggiungevano l’antichità. Purtroppo, però, il modello di trasformazione e di integrazione dei paesi dell’ex blocco sovietico non ha tenuto conto della dimensione spirituale necessaria, chiave della tradizione e dei valori europei, ed è invece finito nel dominio dell’asse istituzionale e giuridico. Questo scisma tra l’Europa formale, cioè le direttive e i progetti dei burocrati di Bruxelles, e l’Europa vitale, cioè la natura organica e la testimonianza del legame reciproco dei nostri rispettivi paesi che compongono l’Unione europea, è la dicotomia chiave dell’Europa contemporanea e la fonte dei suoi problemi più profondi.

Un problema chiave che si frappone alla nozione di Europa formale sarebbe la reintegrazione dei valori e delle tradizioni europee dalle loro fonti originali all’interno della comunità politica transnazionale che è rappresentata dall’istituzione dell’Unione Europea.

È questo dualismo tra una burocrazia centralizzata degli eurocrati e la fonte comune della nostra identità vissuta come cittadini – la realtà della nostra coscienza e dei nostri valori – che costituisce la ragione principale della delegittimazione dei poteri dell’Unione Europea, secondo il filosofo italiano. L’unica strada per uscire da questo dualismo è la costruzione di una struttura di potere della politica in dialogo con le tradizioni locali e per di più modellata su un semenzaio della loro soggettività autonoma, assumendo la responsabilità di una nuova visione e narrazione, dove i cittadini sono i principali attori e informatori politici. Un problema chiave che si frappone alla nozione di Europa formale sarebbe la reintegrazione dei valori e delle tradizioni europee dalle loro fonti originali all’interno della comunità politica transnazionale che è rappresentata dall’istituzione dell’Unione Europea. Un altro dei suoi elementi chiave sarebbe il riconoscimento della fonte spirituale vitale per l’identità del continente come cristiana.

L’avvento di un nuovo standard per la politica europea deve essere accompagnato da una rinascita del costituzionalismo, un movimento necessario che richiederebbe uno statuto fondamentale che riconosca il funzionamento democratico, la prosperità e la partecipazione dei cittadini. Questa costituzione dovrebbe rimanere in uno stato di continuum vitale e organico di accordo, tenendo conto delle lezioni storiche e delle esperienze acquisite dalle comunità, il cui ruolo sarebbe quello di mantenere l’ordine e allo stesso tempo non permettere il dominio dei costrutti ideologici, cercando allo stesso tempo di trovare una via di mezzo tra sovranità nazionale e universalismo europeo.

Su questo sfondo il Prof. Cristin ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II pronunciate al congresso dell’UNESCO nel 1980, “avendo a disposizione tutti i tipi di mezzi disponibili, custodite la vostra sovranità fondamentale, che appartiene ad ogni paese nella forza della sua cultura. Custoditela come la pupilla del vostro occhio per il futuro della nostra multitudinaria famiglia umana! Non permettete che la vostra sovranità fondamentale sia vittima di interessi politici o economici. Non permettete che sia vittima di sistemi o egemonie totalitarie o imperialiste”.

Una sfida che attende la ricostruzione di un ordine vitale per l’Europa, a parte le inclinazioni totalitarie e per non parlare delle tendenze comuniste o nazionaliste estreme, sarebbe l’ideologia della post-identità dove l’eredità storica di una data comunità viene ad essere considerata come una pericolosa ridondanza da cui liberarsi. Si può paragonare a un riflesso nello specchio del nazionalismo, dove l’identità nazionale viene assolutizzata, con il risultato di un enigma in cui entrambe le posizioni vengono viste come difettose, poiché non apprezzano – come richiama l’attenzione San Giovanni Paolo II – come le comunità nazionali siano da un lato un luogo naturale per lo sviluppo personale e dall’altro collaborino in un patrimonio comune transnazionale che arricchisce tutti, indipendentemente dalla loro nazionalità.

Inoltre, in questo contesto, il Prof. Cristin ha evocato un esempio di Gottfried Wilhelm Leibniz che, essendo stato testimone della distruttività delle guerre europee, ha proposto un appello a istituzioni transnazionali per l’Europa il cui ruolo sarebbe stato quello di assicurare e garantire la pace e la stabilità: la banca europea e la corte europea, che si sarebbero assunte l’interesse comune internazionale e le responsabilità economiche.

Una sfida che attende la ricostruzione di un ordine vitale per l’Europa sarebbe l’ideologia della post-identità dove l’eredità storica di una data comunità viene ad essere considerata come una pericolosa ridondanza da cui liberarsi.

E a questo punto il filosofo notava come la convocazione di una cooperazione tra interessi internazionali non può essere accompagnata dall’indebolimento dell’identità nazionale, poiché la formazione dei valori nazionali e la capacità di autorealizzarli come funzioni all’interno della cooperazione internazionale, garantisce un cuscinetto al nazionalismo tendenzioso o allo sciovinismo. Paradossalmente, è l’approccio postmodernista alla decostruzione delle identità notazionali e la cultura del decostruzionismo politico e culturale in generale che porta a buttare via strumenti di cui le comunità hanno estremo bisogno per aiutarle nella loro difesa dai poteri arbitrari che spesso vengono per volere delle élite al potere.

Ciò di cui abbiamo bisogno è “più Europa”, intendendo con ciò lo spirito che unisce le molte e diverse formazioni culturali che hanno creato la base e la storia dei nostri paesi del nostro continente europeo. Così possiamo mantenere lo slogan di ‘più Europa’, usandolo nel suo senso antitetico, al fine di riconquistare la nostra identità europea – ha concluso il filosofo, sostenendo un cambiamento di paradigma quando si considera l’integrazione in Europa.

Sintesi: Karol Grabias
Traduzione: Marta Neri

Il testo completo della lezione può essere trovato qui.